Il mattino era silenzioso, come se tutto il mondo avesse deciso di tirare un respiro.
L’aria profumava di sole, di erba scaldata e di frescura del fiume.
I bambini correvano lungo la riva, ridevano, si spruzzavano l’un l’altro — l’estate nel suo pieno splendore.
Lei sedeva un po’ in disparte, all’ombra di un vecchio salice.
Sulle ginocchia — un libro, tra le mani — una bottiglia d’acqua.
Sotto il leggero vestito si arrotondava il ventre — sei mesi, forse un po’ di più.
Sorrideva, guardando i bambini degli altri che giocavano nell’acqua.
Tutto era tranquillo.
Fino a quel momento.
Un grido.
Acuto, breve, non infantile — spaventato.
Poi uno splash. E silenzio.
Un bambino — cinque anni, forse.
Poco prima stava in piedi sul bordo, cercando di afferrare un pallone.
Ora — solo cerchi sull’acqua.
La gente si bloccò. Qualcuno gridò, qualcuno si mosse, ma il tempo divenne improvvisamente denso, vischioso.
Lei già correva.
A piedi nudi, inciampando, senza sentire né le pietre né la paura.
Qualcuno cercò di fermarla, ma lei non sentiva.
Solo una cosa — l’acqua, il silenzio e una piccola mano che scompariva sotto la superficie.
Il freddo le bruciò la pelle.
Il vestito la tirava verso il fondo, ma lei si tuffò.
Le mani cercavano nel torbido — finché non toccarono qualcosa di caldo, vivo.
Lo trascinò a riva, lo posò sulle ginocchia, con dita tremanti gli spazzò l’acqua dal viso.
Lui non respirava.
Alcuni secondi — i più lunghi della sua vita.
Poi — un colpo di tosse. Aria. Pianto.
Lei pianse anche, affondando il viso nei suoi capelli bagnati.
La gente accorse — qualcuno aiutava, qualcuno filmava, qualcuno restava immobile.
Lei sedeva sulla sabbia, bagnata, sporca, con il bambino tra le braccia.
E sotto la sua mano il ventre si muoveva piano.
Poi alzò lo sguardo — e per la prima volta sorrise.
Con calma, come se sapesse: la vita è proprio così — fragile, bagnata, ma vera.

