La mattina era luminosa, calda — di quelle in cui persino il silenzio suona in modo diverso. Nell’aria c’era l’odore dell’erba e del pane fresco del forno all’angolo.
Il ragazzo camminava lentamente, leggendo con i passi le solite irregolarità del marciapiede. Nella sua mano — un sottile guinzaglio, all’altro capo — un giovane labrador di nome Luch.
Luch era vivace, buono, un po’ goffo. Annusava ogni cespuglio, si avvicinava a ogni passante, e il ragazzo rideva — per la prima volta dopo tanto tempo. Erano insieme solo da tre settimane, ma già respiravano allo stesso ritmo.
Ogni mattina percorrevano lo stesso tragitto: casa, parco, panchina vicino alla fontana, poi ritorno. La gente si era abituata a loro — al ragazzo con il bastone e al cane dorato che sembrava capire tutto senza bisogno di parole.
Ma una mattina, all’improvviso, Luch si fermò. Il ragazzo lo percepì dalla tensione del guinzaglio — morbida, ma decisa.
— Che c’è, amico? — disse piano.
Il cane, naturalmente, non rispose, ma fece un passo di lato.
Poi un altro.
E un altro ancora.
Non lungo il percorso solito. Non verso il parco. Nella direzione in cui il ragazzo non era mai stato.
Voleva fermarsi — ma qualcosa nel comportamento di Luch lo spinse a fidarsi. Il cane camminava rapido, sicuro, come se conoscesse la strada. Il ragazzo sentiva il vento, gli odori — di terra umida, di lillà, di qualcosa di lontano e dimenticato. I passi rimbombavano prima sul selciato, poi sulla ghiaia, infine sull’erba morbida.
Luch lo tirava avanti. Il ragazzo lo chiamò — una, due volte. L’unica risposta fu il respiro regolare accanto a lui.
Alla fine, il cane si fermò. Il ragazzo rimase immobile. Silenzio intorno — solo il vento e il cinguettio degli uccelli.
Stese la mano in avanti — e toccò qualcosa di freddo, ruvido. Pietra. Poi un’altra.
Attraverso le dita ne sentì la forma — una bassa croce commemorativa, avvolta dall’erba.
Si inginocchiò, tastando lentamente il terreno. Le dita trovarono una targa metallica. Su di essa — un nome inciso.
Quello di suo padre.
Il ragazzo non sapeva che lì ci fosse un monumento. Nessuno gli aveva detto dove fosse esattamente.
Luch si sdraiò piano accanto a lui, poggiando il muso sulle ginocchia del ragazzo. E in quel momento tutto fu chiaro: non era solo un cane.
Lo aveva condotto nel luogo dove il ragazzo doveva, un giorno, arrivare.
Il sole filtrava tra le foglie, accarezzandoli entrambi con una luce morbida. Il ragazzo non pianse. Rimase solo seduto, ascoltando il vento — e sentendo accanto a sé il respiro di chi lo aveva riportato a casa.

