Era in piedi davanti alla staccionata su cui un tempo aveva inciso il suo nome.
Le assi erano diventate scure e storte, e dietro di esse tutto era ricoperto di lillà e ortiche.
L’aria era densa dell’odore della terra e del legno vecchio.
Passò le dita sul legno ruvido e gli tornò in mente un ricordo: da ragazzo si arrampicava su quel recinto per scappare al fiume, mentre sua madre gli gridava dalla finestra di tornare per cena.
Era da molto che non tornava.
Dieci anni.
Tanto quanto aveva cercato di dimenticare quel luogo e se stesso, che aveva vissuto lì.
Se n’era andato arrabbiato, offeso, con la sensazione di sentirsi stretto in quella casa, in quel cortile, in quella vita dove tutto veniva deciso senza di lui.
Sembrava che oltre il cancello sarebbe iniziata un’altra vita, nuova, migliore.
Ma gli anni passavano e una notte si svegliò dal sonno:
sua madre era sulla soglia, lo guardava e gli diceva:
«Torna. La casa non deve rimanere vuota».
Non resistette.
Comprò un biglietto.
Salì semplicemente sul primo autobus.
Senza chiamare, senza dire una parola, solo con quella strana sensazione che qualcuno lo stesse ancora aspettando.
Quando l’autobus si fermò, la strada era bagnata dalla pioggia.
Scese e tutto era come prima, solo più silenzioso.
Il vento spazzava le foglie sull’asfalto, il tetto della casa era crollato, il cancello era storto.
Su di esso era appeso un cartello: “In vendita”.
Si bloccò.
Le dita tremarono sulla vecchia serratura.
Uno scricchiolio e il profumo del giardino gli colpì le narici, come l’infanzia.
Nel giardino, tra i meli, c’era qualcuno in piedi.
Una donna, con un foulard, con un secchio tra le mani.
Alzò gli occhi
e il secchio cadde a terra.
«Sasha?..»
Fece un passo avanti.
La voce gli si spezzò:
«Mamma?..»
Lei rimase lì, incredula, con le mani tremanti.
E poi lo abbracciò semplicemente.
A lungo, forte, come se lo stesse riportando in vita.
Sentiva le sue spalle tremare,
e da qualche parte vicino a loro un uccellino piangeva.
Quando lei si staccò da lui, notò che dietro di lei c’era un uomo.
Alto, con un bambino in braccio.
Un bambino di circa cinque anni, con gli occhi che brillavano come i suoi un tempo.
L’uomo si avvicinò.
«Sasha», disse piano, «questo è tuo fratello».
Lui non capì subito.
Guardò il bambino: un piccolo riflesso di se stesso.
Guardò la madre: più vecchia, più fragile, ma sempre la stessa.
E all’improvviso sentì un nodo allo stomaco, qualcosa che non riusciva a definire.
Si inginocchiò,
e il bambino si avvicinò a lui con esitazione,
allungando cautamente la mano.
«Ciao», disse.
Sasha sorrise tra le lacrime.
E capì che
la casa lo stava davvero aspettando.
Non le pareti.
Le persone.

