Ogni giorno, sempre alla stessa ora, il cane si avvicinava al cancello della prigione.
Si sedeva sotto un vecchio lampione arrugginito e non distoglieva lo sguardo dalle massicce porte metalliche. Le persone che passavano di lì si erano ormai abituate alla sua sagoma: all’inizio ridevano, poi provavano compassione, ma col tempo smisero di stupirsi.
Il suo padrone era stato portato via una notte. Gli uomini in divisa gli avevano messo le manette e lo avevano portato via, e il cane si era precipitato dietro di loro, ma la pesante porta si era chiusa proprio davanti al suo muso. Allora aveva ululato a lungo, graffiando il pavimento di pietra con le zampe, ma l’uomo non era più uscito.
Da quel giorno era tornata lì ancora e ancora.
In inverno veniva ricoperta dalla neve. Le raffiche di vento gelido le bruciavano il pelo, ma lei continuava a stare lì, rannicchiata in un mucchietto. In estate ansimava per il caldo e si sdraiava direttamente sull’asfalto rovente. In autunno si bagnava sotto la pioggia, in inverno le zampe le si coprivano di ghiaccio. Ma non ha mai saltato un solo giorno.
I vicini le portavano ciotole con acqua e cibo. Qualcuno ha anche provato a darle rifugio, ma il cane scappava ogni volta e tornava al cancello. Non si fidava delle mani degli estranei, non accettava cibo. Aspettava solo lui.
Sette anni. Sette interminabili anni di fedeltà.
Le guardie della prigione si erano abituate a lei. All’inizio la cacciavano via, poi smisero di prestarle attenzione. Alcuni iniziarono persino a darle da mangiare di nascosto. Uno di loro una volta disse:
«Questo cane è come un orologio. Se un giorno non dovesse venire, vorrà dire che è successo qualcosa di terribile».
E così, una volta, in una tranquilla serata, quando il sole stava tramontando, il pesante cancello si aprì improvvisamente.
La gente per strada si fermò. Anche le auto si fermarono, suonando impazienti il clacson. Dal cancello uscì un uomo con una giacca logora, gli occhi stanchi e le tempie grigie. Si guardò intorno, come se non credesse che stesse succedendo davvero.
Il cane alzò la testa. Per un attimo i suoi occhi tremarono. Sembrava non credere ai propri occhi.
Poi si lanciò in una corsa sfrenata.
Correva come se quei sette anni fossero svaniti in un istante. La folla sulla strada si agitò. La gente tirava fuori i telefoni, filmava, qualcuno piangeva, qualcuno sussurrava: «Non può essere…».
L’uomo si bloccò, poi cadde in ginocchio. Il cane gli saltò addosso, lo fece cadere e gli riempì il viso di baci bagnati. Lui lo abbracciò con entrambe le braccia e scoppiò a piangere, stringendolo a sé come se avesse paura di perderlo di nuovo.
Anche tutti quelli che erano lì intorno non riuscirono a trattenere le lacrime. Sette anni di attesa finirono in un minuto, e fu un momento che nessuno dimenticherà mai.

