Una fredda mattina avvolgeva l’orfanotrofio in una nebbia grigia. L’educatrice di turno uscì in cortile per controllare il cancello e improvvisamente notò un piccolo fagotto proprio all’ingresso. Il suo cuore si fermò: nella coperta c’era un neonato.
Il bambino piangeva silenziosamente, le sue manine spuntavano appena da sotto la stoffa. Ma c’era anche qualcos’altro: un foglio di carta piegato in quattro, accuratamente riposto in un angolo della coperta.
L’educatrice prese delicatamente il bambino in braccio e con l’altra mano aprì la lettera. Le lettere erano scritte in modo irregolare, in alcuni punti le lacrime avevano sbavato l’inchiostro.
“Vi prego… conservate l’amore per mio figlio. Non ho la possibilità di crescerlo, ma vi supplico: fate in modo che non pensi mai di essere stato indesiderato”.
Le lacrime sgorgarono dagli occhi della donna. Con fatica riuscì a finire di leggere la lettera:
«Non lo lascio perché non lo amo. Me ne vado perché sarà meglio per lui. Ditegli, quando sarà grande, che la mamma lo ha sempre amato».
L’educatrice strinse il bambino al petto. I colleghi si radunarono intorno a lei, anche loro incapaci di trattenere le lacrime. Nessuno si aspettava di trovare in quella lettera tanto dolore e tanto amore allo stesso tempo.
Il bambino si mosse e il suo pianto sommesso ruppe il silenzio del cortile mattutino. Le donne si scambiarono uno sguardo e capirono subito: non era solo un altro bambino abbandonato. Era un bambino per cui la madre aveva dato parte della sua anima.
Si riunirono anche gli educatori più anziani. Alcuni cercavano di mantenere la compostezza, ma gli occhi tradivano le lacrime. Altri sussurravano preghiere, tenendo il bambino per la piccola mano.
Una delle donne notò che la lettera era stata scritta su carta costosa e che la calligrafia, sebbene tremolante, apparteneva chiaramente a una persona istruita. Questo significava solo una cosa: la madre poteva non essere affatto quella che sembrava.
«Chissà cosa c’è dietro questa storia», disse la tata più anziana. «Forse è un sacrificio per il bene del bambino, forse è un gesto disperato. Ma una cosa è certa: c’è amore in tutto questo».
Il bambino fu nutrito e avvolto in una coperta nuova. Si addormentò serenamente, come se sentisse che accanto a lui c’erano persone pronte a prendersi cura di lui.
Ma la lettera continuava a essere tenuta tra le mani. Sembrava trasudare un’energia speciale, come se in ogni lettera fosse racchiusa l’anima della madre.
Da quel giorno gli educatori decisero che l’avrebbero conservata come un tesoro. Nessuno di loro si permetteva di essere indifferente nei confronti di quel bambino.
Anni dopo, quando fu cresciuto, gli mostrarono quella lettera. E in quel momento il bambino capì per la prima volta che la sua vita era iniziata con un sacrificio, ma non con un rifiuto.
Anche quando divenne adulto, la lettera continuò a essere custodita come un tesoro. Era un simbolo non solo dell’amore materno, ma anche del fatto che a volte le decisioni più difficili nascono da un sentimento puro.
E anche dopo decenni, quella lettera fu conservata nella cassaforte dell’orfanotrofio, come promemoria: l’amore non muore, anche se la strada separa madre e figlio.

