La pioggia cadeva senza sosta. L’acqua scorreva lungo i vetri delle case, formando piccoli ruscelli che finivano nelle fogne. Le strade sembravano deserte: i passanti si riparavano sotto gli ombrelli e si affrettavano a ripararsi dal temporale.
Alex era altrettanto frettoloso. In mano teneva il guinzaglio, all’altra estremità del quale c’era Ray, un giovane e forte labrador. Di solito le passeggiate serali portavano gioia e tranquillità, ma oggi sembravano una tortura. I vestiti bagnati gli si appiccicavano al corpo, il vento freddo gli penetrava nelle ossa e le scarpe schizzavano nelle pozzanghere profonde.
«Sbrigati», mormorò Alex, «e torniamo a casa. Lì ci sono tè e coperte».
Ma il cane sembrava non sentire. Le sue orecchie si alzarono all’erta, inspirò aria con il naso e improvvisamente tirò bruscamente il guinzaglio lontano dal solito percorso.
«Dove stai andando?», si indignò Alex.
Ray tirava con tale forza che era quasi impossibile resistergli. Svoltarono in un vicolo buio tra i garage, dove quasi non c’erano lampioni. Solo i lampi illuminavano il cancello arrugginito e l’asfalto crepato.
All’inizio Alex pensò che il cane avesse fiutato un gatto o un topo. Ma poi, attraverso il rumore della pioggia, udì uno strano suono. Debole, appena percettibile, ma sicuramente umano: un pianto.
Il cuore di Alex cominciò a battere più forte. Seguì Ray, che lo condusse a un vecchio capanno. La porta era socchiusa, le assi erano secche per l’umidità. Alex la spinse con una spallata e si bloccò.
Sul pavimento, tra la polvere e i detriti, c’era un fagotto. Una vecchia coperta, completamente bagnata, nella quale qualcosa si muoveva. Alex si chinò e vide il viso di un bambino. Era piccolissimo, con gli occhi rossi e le labbra tremanti.
Alex sollevò delicatamente il bambino. All’inizio singhiozzò, ma poi si strinse al suo petto e smise di piangere, come se si sentisse al sicuro. Alex aveva mille pensieri per la testa: «Chi avrebbe potuto lasciare un bambino in un posto del genere? Perché?»
Uscì di corsa dal capanno, stringendo a sé il fagottino. Ray lo seguiva scodinzolando, come se fosse orgoglioso di aver trovato la cosa più importante della sua vita.
Alex chiamò la polizia e l’ambulanza. Quando arrivarono i medici, dissero:
«Se lo aveste trovato anche solo un’ora più tardi, tutto avrebbe potuto finire tragicamente».
Alex li corresse:
«Non l’ho trovato io. È stato il mio cane».
Ray era seduto accanto a lui, bagnato e stanco, ma soddisfatto. Nei suoi occhi c’era qualcosa che non si può descrivere a parole.
Più tardi la polizia scoprirà che il bambino era stato lasciato lì intenzionalmente. Ma chi e perché rimarrà un mistero.
Alex sapeva solo una cosa: quella serata piovosa aveva cambiato per sempre la sua vita. E ogni volta che avrebbe guardato Ray, avrebbe ricordato non solo la passeggiata sotto la pioggia, ma anche il momento in cui il suo cane aveva salvato la vita a un bambino.

