Il sole era basso e tingeva l’erba di un caldo colore dorato. La casa del signor Carter brillava nei raggi del tramonto: grande, austera, quasi senza vita. Dal giardino proveniva un profumo di pino, caffè e mobili costosi riscaldati dal sole.
Un tempo quella casa era stata un rifugio per un uomo di nome Ethan. Molti anni prima, in un gelido inverno, il signor Carter era caduto sotto il ghiaccio del fiume vicino. Ethan, un cacciatore del villaggio vicino, si trovava lì e lo salvò. Lo tirò fuori dall’acqua, lo coprì con il suo impermeabile e lo riscaldò accanto al fuoco.
Carter non lo dimenticò. Più tardi trovò Ethan e gli offrì un lavoro, un posto in una casa dove tutto era già stato deciso in anticipo. Così il cacciatore divenne il suo assistente, una persona di cui ci si fidava, ma che raramente veniva ringraziata.
Era calmo, resistente, riservato. Nel suo sguardo c’era qualcosa della foresta notturna: silenzioso, profondo, incomprensibile. Faceva tutto senza troppe parole e, a quanto pare, non ha mai chiesto nulla per sé.
Ma in casa cominciarono a circolare voci. A volte, quando tutti dormivano, Ethan attraversava il corridoio e scompariva dietro la porta della vecchia stanza.
Quella stessa stanza in cui nessuno entrava da anni. “Sta nascondendo qualcosa”, dicevano i domestici. “Forse dell’oro. O delle armi. O delle lettere”.
Il signor Carter faceva finta di non sentire, ma una volta non riuscì a resistere. Vide Ethan andare di nuovo lì, lentamente, quasi senza fare rumore, con una lampada in mano. Aspettò che la porta si chiudesse e un minuto dopo la aprì lui stesso.
Un raggio di sole penetrò attraverso la finestra impolverata, illuminando la stanza. Alle pareti erano appesi giubbotti da caccia, stivali consumati, un arco, frecce, un vecchio cappello. Su una sedia c’era una fiaschetta con inciso il nome «I. Morgan».
Il signor Carter rimase immobile. Si aspettava di vedere un nascondiglio, prove compromettenti, tradimento. Ma davanti a lui c’era il passato: semplice, onesto, dimenticato. Una stanza dove un uomo conservava non oggetti, ma se stesso.
Più tardi, quella stessa sera, Ethan era in giardino. Il vento muoveva le foglie, l’aria profumava di fumo e sole.
Senza voltarsi, disse sottovoce: «Quando comincio a sentirmi troppo importante, vengo lì. Per ricordare chi ero. E perché vivo».
Il signor Carter non rispose. Rimase solo a guardare, a lungo, in silenzio. In quel momento capì: non tutti i segreti nascono dalla menzogna. A volte una persona custodisce semplicemente una verità che nessun altro può comprendere.
Il sole tramontava lentamente, come se non volesse andarsene. E nel silenzio del giardino sembrava che persino l’aria ascoltasse.

